Spettacoli teatrali


16 e 17/04/2015

IO ODIO GLI ITALIANI 1941.1943:

I campi spinati del Duce

Teatro Miela di Trieste

I protagonisti di questa storia sono una bambina, ma anche una figlia, e un uomo, ma anche un padre. In comune tra loro c’è una terra, la ex

Jugoslavia, che ha dato loro origini e lingua; un periodo storico, la Seconda

Guerra Mondiale, e un luogo, un campo di concentramento, dove le loro vite si sono incontrate e dove non si può che cercare di sopravvivere. Entrambi hanno conosciuto i rastrellamenti, gli incendi, la morte, lo stigma razziale e nazionale, la snazionalizzazione forzata e la deportazione nei campi di concentramento. In comune tra loro c’è il lutto che li ha resi soli. Si incontrano e, non potendo cambiare la loro storia provano, giorno dopo giorno, a guardare avanti e inventarsi un futuro possibile, forse insieme, o forse semplicemente dandosi l’un l’altra la forza per sopravvivere. Perché di sopravvivenza si parla in questa piccola e delicata storia. Ma c’è qualcos’altro che rende questa storia così importante: questo campo di concentramento è Gonars, in Italia, e "i cattivi", questa volta, non sono i tedeschi, ma siamo noi, gli italiani. Perché gli italiani sì, sanno essere brava gente, ma hanno ancora troppe verità scomode da nascondere.

TRAMA

Zofia, una bambina di 12 anni, arriva dal campo di Rab dopo aver visto fucilare suo padre dagli italiani e bruciare la propria casa. A Rab è morta anche sua madre per dissenteria. Nel campo di Gonars è sola, non ha più nessuno, la fame e gli stenti vissuti nelle baracche a Rab l’hanno resa debole e arrabbiata. Un giorno però incontra Vlado, uno dei tanti artisti internati nel campo, in continua

ricerca di un modo per non far morire quella bellezza che conosceva nel mondo e che dipingeva nei suoi quadri. Tra loro nascerà un rapporto che ci insegnerà

che l’umanità e la sensibilità non si possono soffocare e uccidere dietro un

filo spinato. Il testo, nato dalle testimonianze che sono state raccolte dai sopravvissuti ai campi di concentramento fascisti e dai documenti storici della Commissione d'inchiesta per i presunti crimini di guerra italiani, è stato avvalorato dalla Professoressa Alessandra Kersevan, storica che si è dedicata fin dal 1992 alla stesura di saggi storici sulle questioni di confine tra Italia e Jugoslavia, con la quale abbiamo avuto il piacere di confrontarci nelle prime fasi di studio e presentazione dello spettacolo.

Abbiamo chiesto alla regista di parlarci dello spettacolo.

Cosa ti portata a scrivere un testo come "Io odio gli Italiani" ?

Lo stupore di scoprire un pezzo della storia italiana ai più sconosciuta.

Un giorno entro in ufficio e trovo sulla mia scrivania un fumetto con un post-it di un amico con scritto: “leggilo, così poi lo mettiamo in scena…”

E così attraverso il fumetto di Davide Toffolo “L'inverno d’Italia”, vengo a contatto con la storia di due bambini rinchiusi in un campo di concentramento in Italia. È bastato poco perché io e Paolo Miloro ci ritrovassimo a scrivere lo spettacolo “Io odio gli italiani”. Abbiamo iniziato a studiare le poche testimonianze che con difficoltà riusciamo a trovare, scegliendo di scrivere un testo che utilizzasse solo parole storicamente documentabili, come per esempio l’intervista a Herman Yanez, con la voce del quale si chiude lo spettacolo. Il fumetto ci ha dato l’ispirazione per lo stile teatrale da utilizzare: poche parole, lunghi silenzi e la noia del far nulla contro cui i deportati dovevano combattere.

Grazie a questo spettacolo abbiamo la possibilità di far emergere quella parte di storia che gli italiani sono stati capaci di seppellire. Attraverso lo strumento “teatro”, abbiamo la fortuna di parlare con le persone e quindi di raccontare quello che abbiamo scoperto. E sentiamo il dovere di farlo per dire, contestare e nel nostro piccolo togliere la benda che purtroppo, senza nemmeno saperlo, abbiamo indosso.

Zofia, una bambina che vive la tragedia della guerra, emblema di tante storie come la sua, ci racconti?

La storia di Zofia e Vlado è la storia di una figlia e di un padre, di una bambina e di un uomo, che sono stati travolti dalle conseguenza di una guerra. Tutte queste storie sono inevitabilmente un emblema di una realtà che noi non possiamo far altro che leggere e studiare. Credo però che la cosa più importante per noi, da italiani, sia prendere consapevolezza di essere stati anche dei carnefici, che il fascismo porta con sé delle verità che abbiamo il dovere di conoscere e che questa storia ci riguarda un po’ più da vicino. Per questo non diventa più o meno importante di tutte le tragiche storie che abbiamo la possibilità di conoscere, ma ci dovrebbe insegnare a cercare sempre un po’ più là nelle pagine della storia quelle che sono state le azioni degli uomini. Forse parlando del nostro Paese, riusciamo a sentirla più vicina.

Questo spettacolo andrà in scena, anche, per gli studenti che conosceranno attraverso questo episodio, l'esperienza del sentire, vedere e quasi toccare la guerra, quale messaggio vorresti si portassero a casa?

Il desiderio di documentarsi, di pretendere di conoscere, di essere attivi e consapevoli nelle scelte, di dubitare, di prendere posizione, di essere curiosi. Spero che loro possano un giorno riconoscersi in un paese che sia all’altezza delle proprie azioni come oggi (parere personale) l’Italia non è. Vorrei che riflettessero sul significato dei concetti razzismo e superiorità, pensare e agire, e su cosa ci rende nel mondo davvero “brava gente”.

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